Ci è venuto a trovare alla Corte dei medici il filosofo Salvatore Massimo Fazio, reduce da una incursione fuori porta a Pisa. Ne abbiamo approfittato per fare quattro chiacchiere con lui:
Qual buon vento, Salvatore?
Sapevo della serata jazz di stasera, organizzata da Marcella Catanzaro, e ne ho approfittato per fare un salto con il mio amico Antonio Petralia.
Quindi ti piace la musica?
La detesto. E lo dico da violinista. Bisogna conoscere bene un argomento per poterne parlare con cognizione di causa. L’ho studiata per tanto tempo, la musica, e sono giunto alla conclusione che sia frastuono, il tumore del nostro tempo per antonomasia, dove tutti, se manca la musica, non sanno godere di un incontro o di un ambiente.
Contro la musica disse, e scrisse, anche Manlio Sgalambro, di cui tu vieni considerato l’erede.
Non mi riconosco in questa definizione e lo motivo anche nell’ultimo libro che ho scritto Regressione suicida (2016, Bonfirraro Editore, ndr), proprio perché vado a suicidare questo maestro. Abbiamo lavorato insieme ma, quando ci sono “un discepolo e un maestro, uno dei due deve morire”, Sgalambro mi diceva filosoficamente. Sarò certamente la sua consecutio temporum a proposito della distruzione delle certezze che operò con il suo pensiero, un ruolo che mi piace portare avanti. Ma ciò avviene nella maieutica, nel libro scritto. Fuori da questo rapporto, io sono altro. A vantarsi di certe amicizie ci pensano certi arroganti che scrivono minchiate (sic) da vendere in area accademica, introducendo Sgalambro.
Qual è il tuo libro a cui sei più affezionato?
Insonnie, del 2011, uscito con la casa editrice edizioni C.u.e.c.m., di Catania. È il libro in cui espongo la tesi del nichilismo cognitivo, raccontato senza sistematicità. Cosa importante per me che tendo all’anti-sistema, all’anti-accademia. Anelo alla fine, al decesso, al crollo delle istituzioni dall’asilo in poi. È il mio successo. Dopo ho pubblicato Regressione suicida, edito da Bonfirraro con distribuzione del gruppo retail Mondadori, che mi ha dato un po’ più di visibilità su scala nazionale che, invece, è sistematico. Ma perchè? Proprio per dimostrare a questi trentenni che, solo a guardarli, sembrano dei novantenni che ciò che scrivono è merda trita e ritrita. È gente che disonora anche la professione di portalettere, altro che quella di leggilettere (e ride polemicamente).
Che facevi a Pisa?
Ero lì perché sono in finale per il Contro-premio Carver, dedicato al grande scrittore, un premio giunto alla quindicesima edizione, e al quale per la prima volta è stato invitato un siciliano. Considerato che, ogni anno, partecipano seimila, settemila opere e, alla fine, ne vanno in finale solo sei, – beh, che dire? – sono molto contento tanto da sfidare la paura dell’aereo per recarmi a Pisa. Vorrei tornare a Catania, lunedì, con il trofeo qui da te, cosi facciamo la foto assieme. Io, sempre in tuta.
Hai paura dell’aereo?
Tanta, ma la vinco. Nell’ultimo volo mi ha confortato un’anziana signora seduta accanto a me. Capita comunque che io vada spesso fuori Catania per lavoro, in particolare in Piemonte. Non ho mai abbandonato l’attività in psichiatria. Io sono psicopedagogista e pedagogista clinico, ma lavoro nell’alta densità psichiatrica: anche persone che hanno commesso reati e che poi sono stati riconosciute mentalmente inferme e che meritano rispetto. Del resto con la sola letteratura (io scrivo saggistica) non riesco a campare.
Una scocciatura lavorare, eh?
Chiaro! Io non ho mai scritto narrativa, per cui non raggiungo le 300-400 mila copie con cui poter vivere bene. Amo vivere nel lusso e, per farlo, devo, appunto, continuare a lavorare. Curo anche direzioni artistiche, partnership quali quelle, per esempio, con il maestro Petralia che allargano la mia sfera operativa. In ogni caso mi impegno sempre al massimo per ottenere quanto più è possibile. Voglio vivere con comodità. Questa è la mia idea di lusso.
Quindi sei un filosofo-imprenditore?
Si. Sono un filosofo imprenditore più vicino al pensiero di destra. Ci tengo a chiarire questo punto: rendo meschini e metto in croce quei signori che si definiscono fascistoidi e creano confusione alla storicità delle destre e nella tranquilla socialità. È quasi un confine che mi fa approdare alla non più esistente democrazia (dittatura) del proletariato.
Frequenti la tua città?
Si, la frequento molto. Sono, in realtà, un po’ misantropo. Tendo a chiudermi nella mia tana a Sant’Agata Li Battiati, ma, nei limiti delle mie disposizioni caratteriali, mi piace vivere Catania, andare in giro, bere una birra o mangiare una buona pizza come farò tra poco.
Cosa ti piace fare, a parte scrivere?
Mi piace molto la mia attività professionale, il sostegno alle persone con disagio psichico. Faccio anche attività filantropica per loro: corsi gratis presso diverse sedi, anche librerie, per dar loro un aiuto. A tal proposito, lancio un anatema a chi, al contrario, non li aiuta affatto: mi riferisco agli operatori che maltrattano i pazienti con disturbi mentali, come troviamo, spesso, sui giornali. Auguro il peggio a questi signori. Si dice che la morte di un figlio sia il più grande dolore per un uomo. M si rendono conto che maltrattare un debole e come ferire i propri figli? Ogni essere umano è un figlio! Come si può agire con violenza sui meno fortunati?
E delle donne che mi dici?
Potrei essere misogino in taluni momenti. Non uso dialettica e cultura per rimorchiare comunque. Al limite, ma non per rimorchiare, uso citazioni di Cioran o altri outsider, quei pensatori che non si studiano a scuola. Se una donna e le sue curve catturano la mia vista, lo dico apertamente; a seconda dell’immediato che vivo, ovviamente. Non seguo una linearità, neanche quando dialogo con le donne dunque.
Dici che non usi la tua cultura per provarci con le donne, eppure hai scritto una poesia, “Femmina”. A chi era dedicata?
Ti ricordi come finisce quella poesia? Si conclude con “sono femmina”. È dedicata a me stesso. Al mio altro lato, quello che non sopporto. A me piace la donna che si cura dell’uomo. Sarà la mia cultura cattolica. Ma, a mio parere, l’uomo storicizzato, possiede un plus. Ripeto storicizzato. La donna è qualcosa di fuoriuscito, estrapolato, dal costato dell’uomo. Quando mi comporto male, quando non rispetto delle consegne, quando non mi piaccio, lì sono femmina. Non mi vengono le parole, vedi? – risata generale – Beh, come diceva Freud, in ognuno di noi ci sono aspetti maschili e femminili. Nel libro Villa regnante (2009, enricofolcieditore) ne parlo, anche a proposito di auto-omesessualità, o auto-erotismo volgarmente detto. Oggi, siamo magari davanti al PC, una volta bastava una semplice immagine. Purché la donna non abbia tatuaggi, per carità (altra risata). Li accetto solo da una persona i tatuaggi.
Altri dispiaceri, tatuaggi a parte?
Convivere con la mia ansia che, puntualmente, arriva quando prenoto un biglietto aereo. Ma ci sono abituato. Per il resto vado bene, ho avuto una bella infanzia, un’adolescenza un po’ da coglione, con divieti per uscire, beh, cose tipiche di quell’età; compresi gli sfottò di qualche gradasso. Se ogni tanto sono aggressivo e violento con la penna, credo dipenda ancora dai segni che questi episodi del mio passato hanno lasciato in me.
Una tua passione?
Tifare per la Roma. È un paradosso per un catanese, ma è una mia passione (mostra una collanina con crocifisso e scudetto della Roma). Vado sempre a vederla in tribuna Monte Mario. Costa di più, ma da lì la partita è sempre uno spettacolo. Questi sono i piccoli lussi che non voglio farmi mancare. Come anche mangiare bene, o allenarmi in palestra. Sollevo pesi per schiena e glutei. Niente attività aerobiche. Ma un allenamento classico di un’ora io lo allungo fino a tre ore.
Altre passioni?
L’interazioni tra le arti. Con il mio amico musicista Antonio Petralia, con cui abbiamo fatto una partnership, siamo finiti in un circuito siciliano che fonde musica e letteratura. Lui è il fondatore di Etna Jazz Library: questa è la ludicità che mi piace. Odio la musica ma mi chiamano i direttori artistici con cui riempiamo le sale. Grandi soddisfazioni. E la cucina. Ho la passione della cucina. Stravedo per i paccheri alla norma di mia madre.
Sai cucinare anche?
Eccome, ho anche la maturità alberghiera! Il mio piatto forte è il potage, zuppa a base di verdure e carne di origine francese che affonda le sue origini nel Medioevo; il suo nome, infatti, deriva dal francese antico “potted dish”, “zuppa nel vaso“. Passata lunga, lunghissima, senza burro… una leccornia.
E qualcosa che al contrario ti dà fastidio? Gervaso, scrisse “la mosca al naso”… ne hai una?
La maleducazione. Le urla, la cafonaggine, la gente che spinge, le risate a sproposito, nei luoghi più inopportuni. “Come ai vermi carogna infetta, maledetta, che tu sia maledetta” -scrisse Baudelaire -. Userei contro i maleducati il fuoco di un lanciafiamme. In senso linguistico, si intende..
La faresti la prefazione a un libro che parla di pizza
La farei subito. Magari parlando di tutt’altro.
Su questa suggestione lasciamo Salvatore alla sua pizza, ringraziandolo per la bella serata e la brillante conversazione. E ci allontaniamo in rispettoso silenzio della sua cena. Già bastano a disturbarlo ( siamo sicuri?) le note della musica jazz.