Gesualdo Bufalino (1920-1996) avrebbe compiuto 100 anni nel 2020. Chi non l’ha mai frequentato si affretti a farlo perché scoprirà uno scrittore raffinatissimo che, da un piccolo angolo delle Sicilia, Comiso, ha saputo forgiare una lingua italiana, nuova e antica, piena di termini desueti, ossimori, che sono una gioia per il lettore che, con lentezza, scioglie quelle parole, farfugliandole a mezza bocca, come farebbe con certe prelibatezze isolane, rare, in cui si sia imbattuto a sorpresa.
Il debutto di Gesualdo Bufalino è avvenuto tardi e, quasi, con un filo di civetteria, malgré soi, pressato dalle insistenze, ardite, di Elvira Sellerio, editore irresistibile, e di Leonardo Sciascia, un vero nume per il comisano che lo considerava più di un maestro. Può un tranquillo professore di provincia nascondere in un cassetto capolavori assoluti? Questa domanda, che da subito suonò già retorica, cominciò a serpeggiare quando la madrina e il padrino, prima citati. ebbero tra le mani uno scritto di Gesualdo Bufalino. Troppa preziosa e avvertita era quella prosa per non far pensare che fosse stata cesellata non per scrivere alcune paginette ma attraverso un fuoco di decenni di prove affannose e di riscritture interminabili. La scoperta dei due romanzi Diceria dell’untore e Le menzogne della notte costituirono una vera deflagrazione nella scena letteraria italiana. Ogni volta, la Sicilia, estrema periferia, da un lato, e palco in prima fila, dall’altro, sembrava celare dentro di sé talenti capaci, in un modo tutto loro, di distillare l’attraente nuovo e l’antico vero in una forma sempre diversa che piegava la maestosa lingua italiana in forme inusitate così da disegnare siderali ghirigori che univano, in una pagina, Dante e il post-moderno. Che dire, infatti, del superbo incipit di Diceria dell’untore, con l’eco del Canto XIII del Purgatorio, o della cornice di Le menzogne della notte in cui il narratore, richiamando modelli eccelsi da Le mille una notte al Decameron, è condannato ad un infinito narrare per procrastinare l’orrore di una morte incombente? La scrittura di Gesualdo Bufalino riesce a reggere questo continuo rimando ad una tradizione, da lui signoreggiata e, nello stesso tempo, è in grado di spostare un poco più in là l’asticella della forma del dicibile. E’ compito di ogni scrittore quello di creare la sua isola del giorno dopo, quel luogo dove è naufragato, dopo interminabili peripezie, con libri e bagagli per raccontarci di questa Tule, lembo di terra ignota a tutti tranne che a lui stesso.
Auguri, Don Gesualdo! era un documentario, pieno di grazia rispettosa, che Franco Battiato aveva curato, nel 2010, per i novanta anni dell’amico scomparso in un modo imprevisto e beffardo. Insieme alla lettura dei suoi libri, vi consiglio di rivederlo se non l’avete già fatto: troverete Guccione, Sgalambro e altri che raccontano aneddoti minimi o illuminanti sulla vita di Argo, il cieco, tutti pervasi di quella dolce e consolante malinconia che solo il ricordo di chi molto hai amato ispira.
Diciamolo ancora: Auguri, Don Gesualdo!