Walter Leonardi (San Cataldo, 1945), fotografo di fama mondiale che vive tra Pietraperzia, Palermo, Torino e il resto del mondo, ci ha concesso un’intervista, con il rituale sorteggio dei bigliettini, e ci ha raccontato una vita straordinaria vissuta senza paura.
Formazione. Non mi piaceva studiare da ragazzo e, come usava a quei tempi, mio padre, che non era duro o severo, mi invitò, tuttavia, a cercare un lavoro. Ero giovanissimo, abitavo a Torino. Andai a chiedere lavoro ad un anziano rilegatore di libri. E, incredibile, me lo diede. Rimasi con lui due anni. Dopo, ho lavorato per una grande tipografia. Ero in magazzino. Sono rimasto sette anni, ma poi quell’ambiente ha iniziato a soffocarmi. Volevo viaggiare, conoscere il mondo e sono finito in Alitalia, Ufficio prenotazioni. Cosa mi inventavo! Ho organizzato viaggi pazzeschi, giri del mondo. A quei tempi, la nostra compagnia di bandiera era rinomata per la qualità dei servizi, lo standard di viaggio, il personale. Un altro mondo, insomma! Sono stato bene per 13 anni, ma poi ho cominciato a sentire insofferenza per il lavoro di ufficio. Da tempo, mi piaceva fotografare. Foto in bianco e nero o a colori. Inquadratura e, tac, scattavo. Le foto non le ritoccavo e neanche le tagliavo. Mi ero venuta la voglia di trasformare una passione in un lavoro. Mi piaceva viaggiare e questa professione avrebbe potuto soddisfare quel desiderio che era molto forte e intenso. Ero avido di conoscenza. Preparai un book con gli scatti e chiesi un appuntamento alle riviste più importanti. Era il 1980. Non c’era il cellulare e tutto era molto più semplice. Ho lavorato come fotografo di moda, in grandi alberghi e con chef famosi, ma la mia vocazione, da subito, fu il reportage. La mia fortuna fu che divenni amnico di Thor Heyerdahl, il grande esploratore del Kon-tiki. Per 17 anni ho atteso, non so bene cosa, forse di meritare la sua amicizia e la sua fiducia. Il primo viaggio insieme fu all’isola di Pasqua e poi lo seguii ovunque. Divenni il suo fotografo ufficiale. Era un uomo dolcissimo e molto semplice. Scuscitava grandi entusiasmi: in Colombia, fummo accolti dal presidente della Repubblica in persona. Ma era normale con lui. Grandi uomini politici e celebrità se lo contendevano.
Ho fatto. Le mie avventure di fotoreporter continuarono: ho fotografato, nel 1991, la Città delle Stelle dove si allenavano gli astronauti russi per andare nello spazio con tanto di navicella MIR adagiata sul fondo di una piscina per simulare la mancanza di gravità e ho documentato l training per la sopravvivenza al Circolo opolare artico a – 60 gradi sotto zero. Sono stato, nel 1990, a Vladivostock, alla fine della Transiberiana. L’ccesso era proibito agli stranieri e agli stessi russi privi di permesso. Era la città che custodiva i segreti dell’Armata rossa: testate nucleari, sottomarini, missili. Negli stessi anni, ho anche fotografato la dacia di Michail Gorbaciov, la residenza dove fu tenuto prigioniero. Un luogo top secret.
Ovviamente, dopo anni in giro per il mondo, ho cominciato ad avere una certa stanchezza. Ho deciso di voltare pagina. Basta reportage nei luoghi più sperduti, ma una nuova destinazione: Los Angeles. Qui vivevano i divi di Hollywood. Ho iniziato a foografarli insieme allle famiglie e alle loro splendide dimore. La foto a Mickey Rourke, per esempio, dopo il delirio di 9 settimane e ½, l’ho scattata io. L’ho venduta in tutto il mondo. Alberto Sordi, per andare all’Italia, ha apprezzato così tanto la mia foto che, oggi, è la gigantografia che accoglie i visitatori della sua casa-museo.
Cosa vorrei fare. Mi sono state dedicate moltissime mostre dalle istituzioni più prestigiose, ma vorrei organizzare una retrospettiva antologica delle mie foto: selezionare le più belle e varie e mostrare tutto il mio percorso nel suo complesso.
Sicilia. Sono nato a San Cataldo, un paese piccolo, ma pulito, nel centro dell’isola. E’ stato fondato nel Seicento. Ha un’interessante chiesa ma, per il resto, niente di speciale. Possiede una magnifica campagna nei dintorni e – aggiunge Walter – riconosco ai miei compaesani una gran voglia di fare. C’è un centro industriale in un comune di 24.000 anime!
Trapani. La amo tantissimo. E’ la città della Sicilia che mi piace di più. A cavallo tra due mari, un centro storico che definire magnifico è riduttivo. Le saline, Erice e le spiagge tra le più belle al mondo.
Bressanone, Alto Adige. Sono cresciuto lì. Tutto funziona alla perfezione, ci sono scuole bellissime e servizi per gli anziani da non credere. Dovrei farci un pensierino – aggiunge ridendo – ma, in realtà, chissà!
Musica. Tra le arti è quella che, di sicuro, mi affascina di più. E’ un linguaggio universale come l’immagine, ma forse lo è in un senso più profondo. Se potessi rinascere, vorrei essere un bravo musicista.
Errore. Ho fatto errori come tutti, ma credo che l’errore più grande sia la paura di mettersi in gioco. Lasciare Alitalia, un lavoro sicuro -come si direbbe oggi – avrebbe potuto essere una pazzia, ma un piccolo segno del destino mi convinse. Era stato bandito per i dipendenti di tutte le compagnie aeree un concorso fotografico. Partecipai e, con sorpresa, vinsi in tutte le categorie. Lasciai il lavoro poco dopo e non ho mai avuto rimpianti. Oggi – aggiunge Walter con una nota canzonatoria – non potrei mantenermi con il lavoro di fotografo. Con i cellulari siamo tutti fotografi e la professionalità è totalmente svilita.
Amicizia. Viviamo nel mondo dell’overdose di amicizia. Amici su Facebook, amici in palestra, amici in ogni luogo – Walter scoppia a ridere -. Nella mia vita, credo di poter contare su tre o quattro amici veri. Sono sufficienti, credo.
Mare. Come molti siciliani del’entroterra, non so nuotare e ho una certa diffidenza verso quell’enorme bolla d’acqua. La trovo bellissima, mi piace guardarla, ma il nostro rapporto si ferma qui. Quando sono al mare, rimango in spiaggia, all’ombra, e mi godo lo splendido panorama.
Famiglia. Sono molto legato alla mia famiglia e ai miei figli, un ragazzo e una ragazza, ormai grandi, con cui ho uno splendido rapporto. Molti potrebbero pensare che il mio lavoro mi abbia tenuto lontano da loro. -Walter ha una risata aperta e disarmante – Come si sbagliano! I miei figli, fin da piccolissimi, mi hanno sempre accompagnato in viaggio. Le macchine fotografiche al collo e la bimba a cavalluccio. Senza di loro non andavo da nessuna parte. Mi stupiscono quei genitori che sostengono che con i figli non si può viaggiare. Tutti i miei reportage li ho fatti con famiglia al seguito. La storia mia figlia l’ha studiata fotografando tutta la Magna Grecia. Il maschio, anche lui non uno studente modello, la geografia l’ha imparata stando più di un mese in nuova Zelanda con mamma e papà e girando quella terra in lungo e in largo. Erano bambini buonissimi e meravigliosi. A Los Angeles, mia figlia era la mascotte. Nelle case dei divi prima entrava lei e poi io. La parte più difficile era convincere le maestre a farli partire. Ma ero deciso. Lo hanno capito anche le autorità neozelandesi disposte a pagare il soggiorno di assistenti, ma non dei miei familiari. Ma fui chiaro. Senza di loro non sarei andato.
Aggiungo anche che ho avuto genitori intraprendenti. Mio padre era impiegato al Consorzio agrario di Caltanissetta. La guerra distrusse tutto. Lui emigrò e, da San Cataldo, andò a Parigi dove iniziò a fabbricare caffettiere. Come si ambientò, fece partire mia madre con due bimbi piccoli – io avevo due anni -. Abbiamo viaggiato per l’Italia distrutta e attraversato la frontiera, da clandestini, attraverso un sentiero tra le montagne. La polizia ci ha anche arrestati. Lo spirito di avventura è un marchio di famiglia -aggiunge Walter -. Dopo qualche anno, mio padre vinse il concorso alla Dogana di Bressanone e abbiamo vissuto lì, ma ogni anno, in estate, cascasse il mondo, tornavamo in Sicilia – altra avventura – 26 ore di viaggio! A San Cataldo, mi annoiavo perché non avevo la bici e non c’era il mare, ma, in compenso, mi capitava qualche incontro fortunato. Un mio zio mi portò sull’asino in un paese vicino, Santa Caterina Villarmosa, dove abitava, otto ore di viaggio tra le trazzere e con il fucile al collo. Com’ero contento! All’epoca, avevo 12 anni, ero capace di fare da Bressanone a Bolzano in bici, 80 km in giornata, sul Brennero, strada molto pericolosa, e dicevo a mia madre che ero andato a fare una passeggiata! Walter scoppia a ridere al ricordo di quelle bravate. Ma il gusto di partire, chissà, è iniziato da lì.
Natura. Non sono un uomo ricco. Per me la vera ricchezza è la natura che mi circonda. Quando guardo un albero o un fiore li sento di mia proprietà e provo un dispiacere profondissimo quando qualche deliquente arreca danni alla mia proprietà che è tutta la terra e, in particolare, la mia terra. Mi sento derubato. Ero ricco e sono stato depredato di quella bellezza. Non lo posso perdonare. Per questo credo che l’unica vera nobiltà sia quella che possiedono i contadini e i pescatori. In tutto il mondo, sono gli unici uomini che mi hanno insegnato qualcosa con la loro sapienza antica e misteriosa. L’altra nobiltà, quella della ricchezza o dei titoli, è mera invenzione umana. Non mi interessa -Walter risponde in modo serio – . Non scherza più. L’argomento lo fa soffrire.
Talento. Non credo di essere un uomo straordinario. Secondo me – aggiunge Walter – tutti gli uomini hanno un talento particolare, ma è la paura che impedisce di essere veramente noi stessi e di dar voce alle nostre capacità. L’unica dote che mi riconosco è la curiosità. Sono molto curioso e – lo ribadisce – un fotografo deve esserlo e deve far passare la realtà attraverso il suo punto di vista. Solo così, paradossalmente, il particolare diventa l’universale e si può veramente raccontare una storia.
Uno squillo interrompe la nostra conversazione. Voci di sottofondo reclamano l’attenzione di Walter Leonardi, ma non spezzano l’incanto di questa bellissima conversazione e, mentre salutiamo Walter, invitiamo i nostri lettori ad ammirare, a Venezia, la sezione della mostra che la Biennale (Spazio Thetis – Arsenale Nord) gli ha dedicato sulle Gang City da giugno a novembre 2016.