Alla Corte dei medici è venuto a trovarci Manlio D’Urso che, dopo un lungo trascorso aziendale, ha fondato la Malcor D’ Edizione, una piccola casa editrice con un catalogo eclettico che attraversa molteplici discipline con la voglia, ogni volta, di agitare pensieri. Per capire cosa l’ha spinto a pubblicare saggistica in un luogo e in un tempo non facili lo abbiamo sottoposto al nostro consueto pegno dei bigliettini.
Roma. Dal punto di vista personale ho molti parenti e amici che vivono a Roma, ma non ho mai vissuto lì. Roma, tuttavia, è la sede della Fiera dei piccoli editori. Ho cominciato, quindi, a frequentarla da un punto di vista professionale. Ho presentato due libri: il primo, Goodbye, Topolinia, era dedicato al fumetto e all’architettura. La tesi era che l’architettura è presente nei fumetti, ma, a sua volta, il fumetto ha un impatto sulla progettazione architettonica. Sono andato a Roma, per la seconda volta, nel maggio 2016 per presentare Democrazia a sorte. Gli autori di questo saggio sono stati invitati in Parlamento per discutere dei metodi per migliorare l’efficienza delle istituzioni parlamentari. Avevamo un pubblico importante: giuristi, sociologi, parlamentari. Grandi soddisfazioni, insomma, ma pochi soldi (Manlio D’Urso ride, mentre arriva la sua pizza).
Errore. Essendo un autodidatta nel campo dell’editoria, visto che ho esordito appena cinquantenne, mi sono industriato. Ho fatto un percorso che nasce da un’infinità di errori, dall’inesperienza e dalla mancanza di conoscenze. Credo, tuttavia, che ogni sbaglio mi abbia aiutato a chiarire la mie idee, a focalizzarmi su quello che era giusto per me. All’inizio, ho voluto una redazione, dei collaboratori. Pensavo di arrivare, molto presto, al pareggio di bilancio e di rifarmi velocemente delle spese. I risultati non sono stati buoni: costi molto alti e senza una produzione che li giustificasse. Ho rimodulato, allora, i miei obiettivi. Ho capito che non volevo tornare all’impegno in un’azienda e ho costruito una mia dimensione in cui pubblico 4-5 libri l’anno, ben curati – credo – e sono molto felice.
Fai un disegno. Manlio D’Urso disegna una pera con un cappello che si potrebbe confondere con una bagnante callipigia, ma l’artista è fermo nella sua interpretazione (seguono risate).
Non ho un buon rapporto con il disegno. Sono stato iscritto ad Architettura e sono andato via e ho scelto Economia e Commercio. Questo disegno è uno scherzo. E’ un logo che ho inventato anni fa e che è diventato la mia firma.
Amicizia. Ho molti amici. Quelli dell’infanzia con cui ci vediamo e ci sentiamo spesso e mi hanno accompagnato tutta la vita. Frequento meno – devo dire – quelli conosciuti all’Università. Amo coltivare le relazioni anche se vorrei essere meno riservato, aprirmi di più perché l’amicizia è un valore importante a cui vorrei dedicare più tempo.
Ho fatto. Ho avuto una vita ricca e sono molto fiero di aver avuto i figli che ho, di essermi occupato di loro. Mi rende orgoglioso l’aver creato la casa editrice partendo da zero. L’ho voluta, ideata, studiata e realizzata. Se guardo indietro, vedo gli inizi e mi dico che sono un editore. Ho un ruolo riconosciuto. Ho compiuto delle scelte rigorose e con gli autori è nato un rapporto di reciproca stima. Mi hanno infatti riconosciuto “dedizione”. Ho sostenuto certi valori: l’onestà intellettuale, la schiettezza nel dare consigli. L’idea originale che ho avuto è stata quella di scegliere un approccio non specialistico aperto all’interdisciplinarità. La complessità è un altro tema che mi ha sempre affascinato e ritorna tra i volumi che pubblico. Il mio primo lavoro, quello in azienda, è stato una scelta quasi obbligata, mentre ora ho potuto fare veramente quello che mi piaceva e, nonostante gli errori, va bene così.
Famiglia. Devo dire che è un mio cruccio. Sono separato ed, è vero, capita. Per carità, alla fine è andata così, ma credo sia mancato qualcosa, soprattutto ai figli.
Vorrei fare. Il mio sogno è consolidare la mia attività. Renderla stabile. Vorrei trovare tanti autori interessanti, magari un futuro Nobel. Vorrei approfondire, come dicevo, le mie amicizie.
Canta una canzone. Non so cantare e non ricordo le parole. Mi piacerebbe saperlo fare, ma, ahimé (Manlio D’Urso alza gli occhi al cielo), sono totalmente stonato. La canzone a cui sono più legato è Starway to Haeven, un capolavoro. La ricordo da ragazzo (Manlio D’Urso accenna il motivo).
Formazione. La mia formazione è stata lineare: Liceo scientifico e Laurea in Economia e Commercio. Quando ho cambiato lavoro, ho voluto dedicarmi ad un’attività che avesse anche un impatto sociale. La cultura è uno strumento di crescita. Nel 2008, è iniziata una tremenda crisi finanziaria. C’era un’esigenza di cambiamento in tutti i settori: politico, economico, culturale. Lo strumento più importante – ne sono convinto – da utilizzare è la cultura. Si possono studiare i problemi condividendoli in linea con un approccio sociale alla conoscenza. La cultura non è del singolo ma è dell’uomo e ogni conoscenza passa da un libro. Un manoscritto non è ancora entrato in questo circuito, ma una volta che un editore lo sceglie e lo pubblica compie un ben preciso atto sociale. Sceglie di condividere saperi, riflessioni e analisi che avranno, comunque, un impatto su altre vite.
Cosa pensi ora? Penso ad una veloce carrellata dell’ultimo periodo della mia vita. Mi sorprende il fatto che, quando racconto certi avvenimenti, sembra che tutto abbia una sua coerenza.
Sicilia. Ecco un altro mio cruccio. Sono molto pessimista sulla Sicilia e non credo nei siciliani. Mi ricordo che all’epoca del boom economico, quest’isola era un serbatoio di voti e arrivavano tanti denari. Dagli anni Novanta in poi lo scenario è cambiato. Il siciliano, per mentalità, è rimasto ancorato alla fase precedente. In campo editoriale ci sono molte iniziative. Ragazzi giovani che sono molto in gamba, ma la classe dirigente blocca quest’entusiasmo. Abbiamo un ceto politico inetto, incompetente e che guarda solo ai propri interessi. L’unico campo con un minimo di possibilità mi sembra quello del turismo, ma di burocrazia si muore. Ma allora perché sono un editore in Sicilia? Alla fine, ho scelto di rimanere. Potrei fare questo mestiere ovunque e non pubblico libri che abbiano attinenza con la nostra isola. Ma la mia proposta editoriale è un atto di dedizione. Ecco, forse, questa potrebbe essere una spiegazione.
Su queste note agrodolci si chiude la nostra intervista a Manlio D’Urso. Per chi fosse interessato al catalogo pubblicato dall’editore catanese è possibile consultare il sito www.malcor.it.