Boccioni a Catania

Umberto Boccioni (1882-1916)  ha vissuto due anni a Catania: dal 1897 al 1899. Era un giovane studente della Regia Scuola tecnica “Agatino Sammartino” arrivato al seguito del padre che aveva vagabondato per l’Italia a causa dei continui trasferimenti a cui era soggetto in quanto commesso di Prefettura. Sembrerà incredibile ma il pittore romagnolo  non conseguì il diploma nella prima sessione, perché fu bocciato in tre materie, una delle quali era il Disegno, e dovette ripresentarsi in autunno. Catania all’epoca era una città molto vivace che era passata attraverso la grande avventura dei Fasci siciliani e che ospitava il venerato Giuseppe De Felice Giuffrida, considerato un vero pater patriae, voce del socialismo dell’epoca e capace di suscitare un entusiasmo popolare incontenibile che si trasformava, spesso, in ovazioni spontanee.  In via Etnea era possibile incontrare Giovanni Verga con il suo immancabile bastone, Luigi Capuana e Federico De Roberto per tacere del bizzoso poeta Mario Rapisardi. Ma Boccioni non si limitava alla fascinazione politica ma, forte di un talento nel disegno già notevole e molto ammirato dai compagni, collaborava con il quotidiano “La Gazzetta della Sera” ed ebbe modo di conoscere i giormalisti e gli intellettuali dell’epoca: da Giovanni Palizzi Campagna a Turiddu Russo; da Francesco Marletta a Nino Martoglio, penna acuminata e direttore del foglio satirico “D’Artagnan”.  Boccioni frequentava anche il Teatro dell’Opera dei pupi che poteva vantare, a quel tempo, dei parraturi straordinari come Giovanni Grasso e Angelo Musco, i futuri grandi attori. Della città etnea il pittore apprezzava il clima che i residenti definivano, in quell’inverno, freddo e che quest’ultimo liquidò, in una lettera alla sorella, con la battuta che «avrebbe potuto vendere il suo cappotto» e adorava la Playa, la dorata spiaggia cittadina, che non si stancava mai di ammirare. Questo luogo sarà protagonista nel romanzo rimasto manoscritto Pene dell’anima . La bozza del primo tentativo letterario, insieme a disegni e tempere, fu donato a Mario Nicotra, un compagno di scuola, quando Boccioni si trasferì a Roma al seguito del padre. L’influenza siciliana non si fermava solo alla fascinazione  per la politica e per la cultura, ma lasciò delle tracce profonde che ritroviamo in Beata Solitudo, uno dei disegni cruciali del periodo giovanile, in cui è fortissima l’impressione suscitata dal Trionfo della morte, il celebre affresco che ornava l’Ospedale Grande e Nuovo a Palermo. L’esperienza siciliana, ricca di colori, profumi e incontri, fu importante per l’artista che rimase legato ai suoi amici siciliani e che ritornò a Catania nell’estate successiva vinto da un forte nostalgia.