Sabrina Brazzo, prima ballerina del Teatro Alla Scala di Milano, star che ha danzato nei maggiori teatri in giro per il mondo, reduce dalla serata Telethon al Teatro Massimo Bellini di Catania, con la dolce compostezza da étoile e, in attesa di una gustosa pizza alla Corte dei medici, ci racconta dei suoi inizi.
Lei ha frequentato la Scuola da ballo del Teatro alla Scala di Milano, tra le più rigorose al mondo.
Sono entrata che avevo 10 anni, una vita durissima per otto anni, una routine di scuola e allenamento. Devo dire che mi ha tolto molto- era una clausura – ma mi ha dato anche tanto e ha risolto dei problemi che avevo.
Che tipo di problemi? Sembra strano a dirsi vista la severità dei maestri
A sei anni ancora non parlavo. Avevo difficoltà nel linguaggio. Mia madre, pur non vivendo a Milano, capì da sola che solo il movimento mi avrebbe potuto aiutare. Ero dislessica. A quei tempi, era un disturbo non diagnosticato, ma la danza mi ha aiutato molto a compensare.
Ma vivere da sola a Milano non ti pesava?
Tanto. Mi mancava la mamma e la famiglia. Ma sapevo di dover continuare – Sabrina Brazzo, da vera ballerina, ha un aspetto fragilissimo, uno scricciolo, ma dalla fermezza si intuisce la forza del carattere -.
Gli anni passano e completi la tua formazione. A quel punto cosa scatta in te?
Ero pronta a spiccare il volo. La Scala mi aveva formata ma avevo sete di altre esperienze: Il Royal Ballet, l’American Ballet, Dusseldorf, altra esperienza durissima, da piangere. Ho ballato il classico e il moderno. Mi sono avvicinata ai grandi coreografi: Balanchine, Forsythe, Petit e Nureyev.
Ma poi sei tornata in Italia?
Sì, ho deciso di tornare perché mi ha chiamato Elisabetta Terabust e ho ripreso a ballare al Teatro alla Scala.
Nel frattempo, hai incontrato il tuo futuro marito, un collega e ballerino anche lui (Andrea Volpintesta, che siede accanto a lei), è nato un bimbo.
-Sabrina sorride e guarda il marito – Per noi ballerini è difficile avere una relazione con chi non fa parte dell’ambiente. Ho anche provato, ma viviamo in un mondo sui generis -lo devo ammettere – Quando ho incontrato Andrea, tutto è andato al posto giusto. Condividiamo vita e lavoro. Ci divertiamo anche a battibeccare davanti alle commesse per la marca del latte detergente.
E vostro figlio sarà un futuro ballerino?
Avrebbe potuto esserlo, ma non è interessato, anche se ci dà buoni consigli. Un giorno, ascoltando una discussione tra me e il papà sulle difficoltà che i nuovi talenti incontrano in Italia, sulla mancanza di teatri e di corpi di ballo, Joseph, nostro figlio, è intervenuto dicendo di non lamentarci e di inventarci una compagnia di danza
E voi l’avete ascoltato?
Assolutamente. Io e Andrea abbiamo fondato Jas Art Ballet, compagnia che è aperta ai ballerini appena diplomati. Mettiamo in scena spettacoli di impegno sociale o rileggiamo i grandi classici in quest’ottica. Il nome della compagnia nasce dalle iniziali dei nostri tre nomi Joseph, Andrea e Sabrina.
I film sul mondo della danza rimandano un’immagine folle e ossessiva, penso al recente Cigno nero o al mitico Scarpette rosse. È un luogo comune o c’è un fondo di verità?
Senza dubbio il ballerino ha con il suo corpo e la sua arte un rapporto complesso. Ci vuole un grande equilibrio mentale. Siamo anche degli atleti. Ma, se sei un professionista, negli anni, hai trovato un giusto mezzo tra le pulsioni golose – le abbiamo anche noi – e la forma fisica senza cadere nell’ossessività. Detto questo, non posso ingrassare dieci chili, sia chiaro. Non potrei più danzare o essere sollevata dal partner. Anche questa è una forma di rispetto.
Episodi borderline ti sono capitati? Rivalità?
Beh, tanti anni fa, avevo una collega che tagliava i nastri delle scarpette. Esistono personalità al limite. Ma non credo ci siano solo nel mondo della danza.
Cosa fa Sabrina Brazzo per rilassarsi dopo le fatiche degli spettacoli?
Viaggio. Mi piacciono le città d’arte. Visito i musei. Leggo. Sono tranquilla, devo dire. Il mare e la montagna non mi interessano.
Quali sono i nuovi progetti a cui stai lavorando?
Io e Andrea con Jas Art Ballet, la nostra creatura, stiamo collaborando con Francesco Ventriglia, un ballerino italiano, oggi uno dei più famosi coreografi al mondo, direttore artistico del New Zeland Ballett e oggi del Ballett Nacional Sodre in Uruguay. Ha creato per noi Ravel Project: Bolero, una nuova coreografia. Ne sono entusiasta! La scenografia sarà ispirata ai dipinti di Giorgio De Chirico, le famose piazze metafisiche, e i ballerini saranno come quei manichini per artisti. Inquietanti!
Hai collaborato anche con i Kataklò che non sono ballerini classici puri. Come far entrare in contatto due esperienze così diverse?
È questo il bello: loro mettono la potenza ginnica, il gesto atletico. Io esalto l’eleganza e l’assolutezza del movimento. Ci compensiamo.
E la coreografia a cosa è dedicata?
Lo spettacolo si intitola La mia vita d’artista e, poco modestamente, parla di me e della dislessia. Le prove che ho dovuto superare. Con i Kataklò e Giulia Staccioli abbiamo creato una coreografia molto particolare che parte dalla sbarra da danza, che si muove dall’alto in basso, ed è sollevata dai ballerini-ginnasti con me in sospensione. Sono dei momenti di notevole difficoltà tecnica, ma l’effetto è molto suggestivo. Voglio far capire come da limiti che paiono insormontabili possano nascere opportunità straordinarie.
Qual è il sogno di Sabrina Brazzo?
Il sogno – che condivido con Andrea – è quello di avere una compagnia che lavori sempre di più in teatri italiani. Quelli attivi, oggi, sono veramente pochi.
Su queste parole si chiude la nostra intervista con Sabrina Brazzo alla Corte dei medici. Lo spettacolo Ravel Project: Bolero debutterà al Teatro Carcano a Milano il 7 aprile 2018 e sarà replicato l’8 aprile 2018.