Bernard Berenson: la Sicilia ritrovata

Bernard Berenson (1865-1959), il grande critico d’arte, amava profondamente la Sicilia e la visitò più volte. Ormai molto anziano, aveva 88 anni, volle compiere l’ultimo pellegrinaggio  seguendo  le orme del giovanotto ventenne che era stato. Il resoconto di quei giorni è stato pubblicato in Viaggio in Sicilia. Ovviamente in più di 40 anni, l’isola era mutata, ma l’incanto dei luoghi ha il sopravvento sulla delusione alla vista delle brutture che una corsa al nuovo, spesso senza criterio, aveva prodotto, male europeo e non solo siciliano. Messina, distrutta dal terremoto, è un’altra città, ma la fontana di Giovanni Angelo Montorsoli lo lascia sempre incantato: «un repertorio di motivi michelangioleschi come non è trovabile altrove, quando si eccettuino i lavori di Michelangelo stesso». Taormina non è più il luogo appartato dove solo  pazzi stranieri vivevano per sfuggire  a se stessi in cerca di un nuovo Eden. E’ diventata un rutilante set di grandi e piccole celebrità piuttosto chiassoso e di cattivo gusto. Ma la vista dell’alba – con l’Etna sullo sfondo – provoca in Berenson una commozione profonda, quasi indicibile ad altri, per il silenzio, la pura felicità visiva e la sublime armonia. I paesini siciliani dell’entroterra, Agira e Regalbuto, lo mandano in visibilio: « Il fitto alternarsi di pareti al sole e di pareti in ombra presta loro una sfaccettatura adamantina, che avrebbe dato gioia all’occhio di Cézanne più di qualsiasi altra visione di questo carattere offertagli dalla sua Provenza, esclusa, forse, quella di Les Baux». Siracusa è sempre per lui una delizia, in particolare la fonte di Aretusa, circondata dalle terrazze e dal lungomare. Agrigento, per il grande storico dell’arte, rappresenta il più puro stile ellenico, quasi introvabile altrove, con l’eccezione di Atene e del Partenone, per non parlare di Selinunte o di Segesta per le quali, a suo parere, ci vorrebbe la penna di un Leopardi, di uno Shelley o di un Keats per cantarne, in modo adeguato, le sempiterne lodi. Ma il nostro viaggiatore non apprezza solo l’antico. Una vista al Duomo di Monreale gli strappa espressioni altissime, quando ricorda  che «quelli che vi si congregavano nel Medioevo non potevano fare a meno di considerarla visione anticipante del Paradiso».  L”ascesa al Monte Pellegrino, a Palermo, conclude questo viaggio della memoria  e Berenson si lascia andare all’ultima riflessione, un po’ malinconica, a dire il vero, per un uomo che aveva dedicato tutta la vita all’Arte e al Bello: «se soltanto l’uomo  potesse impadronirsi di così grandiosa e impareggiabile bellezza e serbarla entro di sé, sarebbe un dio». Un commiato all’isola che può considerarsi un sigillo alla sua intera opera.