Nel 2010, quando Andrea Bartoli e Florinda Saieva hanno sognato il loro Parco culturale diffuso non era una notte buia e tempestosa, per citare Snoopy, ma una sera con la luna piena e sciroccosa e l’aria era satura del profumo di gelsomini. Con quelle temperature, la stanza deve essere preparata per tempo. Bisogna chiudere le persiane nel pomeriggio, in modo da raffreddarla e lasciare, per la notte, degli spiragli in modo da catturare quei rivoli di vento che, in siciliano, si chiamano “uoria”. Durante il riposo, quei soffi solleticano le parti del corpo non coperte da un finissimo lenzuolo di lino. Sonno da eroi che prepara a grandi imprese. Favara si trova in provincia di Agrigento, lontanissima da tutto e, quindi, perfetta per il loro progetto. Nel centro storico della cittadina, trovano un insieme di case arabe collegate da cortili e creano un groviglio di luoghi aperti/chiusi che sono, in contemporanea, galleria per mostre, libreria, residenza per artisti, albergo con SPA, ludoteca e altro ancora. Non si possono mettere limiti a due demiurghi che, da una materia informe, hanno modellato il loro personalissimo iperuranio. Un luogo in cui la bellezza, il bene, la felicità tornano ad occupare la vetta. Andrea e Florinda, come gli antichi dei nell’Olimpo, ogni tanto, invitano noi, comuni mortali, ad andare e a godere del nettare e dell’ambrosia. E come, nel mito, si ritorna sulla terra più giovani e più saggi.
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