La Sicilia, da sempre, era nota quale patria di magistrali cacce di cui i falchi erano i compagni inseparabili. Federico II, il grande imperatore, siciliano d’elezione, scrisse un poderoso trattato sui diletti dell’arte venatoria in questione, a sua parere la più nobile e la più gloriosa. Se, nel Medioevo, la presenza di falchi e di aquile non desta particolari mormorii di meraviglia, sapere, invece, che (nonostante inquinamento, bracconaggio, cambiamenti climatici da esaurimento nervoso, distruzione di habitat e così elencando) esistono ancora oggi, in Sicilia, uccelli rapaci tra i più rari e pregiati al mondo, quali l’aquila del Bonelli, il Lanario, il falco Pellegrino, l’aquila reale, il capovaccaio, lascia alquanto interdetti. Ma la sorpresa aumenta allorché si scopre che, purtroppo, l’isola è meta di uomini senza scrupoli che razziano i nidi catturando i piccoli, azione che comporta una forte riduzione degli esemplari e un’alterazione nella delicata e straordinaria biodiversità del territorio. I mercati di destinazione sono, in particolare, quelli mediorientali, in cui questi uccelli sono particolarmente apprezzati: un pulcino può essere pagato anche 30.000 euro. Si tratta, insomma, di un affare estremamente lucroso. Il WWF, insieme alla Regione Sicilia e alla LIPU e il GREFA (un ente spagnolo specializzato nel settore), ha avviato il progetto LIFE che serve a monitorare e a sorvegliare le zone in cui vivono gli animali in modo da salvaguardare queste specie dal rischio sempre più concreto dell’estinzione.
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